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Buonasera a tutti.
Condivido pienamente i punti proposti. Provo a commentarne alcuni.
In relazione al punto 1, si potrebbe pensare ad una forma di coinvolgimento attivo (engagement) dei cittadini/consumatori alla gestione ed allo sviluppo del biodistretto. Una raccolta di dati sulle tradizioni locali potrebbe essere un modo per raggiungere l’obiettivo (basta pensare solo alle tante “ricette” e competenze relative alle erbe spontanee che caratterizzano ogni territorio). L’integrazione tra l’offerta di prodotti bio e le conoscenze, tramandate di generazione in generazione, relative agli stessi è un modo, a mio avviso, per promuovere la cultura del bio (e quindi del biodistretto) ed evitare la perdita di tradizioni ed usi. Inoltre, i produttori del distretto potrebbero avvantaggiarsi di una fonte ulteriore di reddito, posto che molte erbe spontanee (ramolaccio, borragine, ortica…) potrebbero essere da loro commercializzate con costi di produzione più bassi delle classiche colture. Si tratta, infatti, di piante robuste che richiedono poco sforzo in termini di tempo e di costo di coltivazione.
In relazione al punto 2, la valutazione delle performance del biodistretto dovrebbe avvenire tramite alcuni KPI (Key Performance Indicators) relativi agli aspetti economici, sociali ed ambientali dello stesso. Gli stessi, dovrebbero poi essere convogliati in una vera e propria balanced scorecard.
In relazione al punto 5, ritengo che la fase comunicativa sia fondamentale. Proporrei la redazione periodica di un vero e proprio bilancio del territorio del biodistretto, che illustri i risultati raggiunti (anche i KPI di cui al punto 2), gli obiettivi futuri e le azioni di intraprendere. Non trascurerei anche le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. Perché non pensare ad una App del biodistretto? Attraverso la stessa gli utenti potrebbero essere informati sulle attività svolte ed in programma, sui produttori e sulle loro offerte. Ma potrebbero anche contribuire alla costruzione di un vero e proprio database del biodistretto, mettendo a disposizione di tutta la comunità le conoscenze di cui al punto 1. Penserei, ad esempio, ad una raccolta di ricette con erbe spontanee, fruibile tramite la App ed aggiornata ogni volta che un utente carica una nuova ricetta. Ovviamente, per i cittadini meno “tecnologici” il tutto dovrebbe essere anche reso disponibile in forma cartacea e sul sito web del biodistretto.
In relazione al punto 7, ritengo che biodistretti ed aree protette dovrebbe dialogare il più possibile ed adottare delle linee strategiche comuni, soprattutto al fine di salvaguardare la biodiversità che caratterizza il territorio. Ad esempio, i KPI di cui al punto 2, dovrebbero riguardare anche la biodiversità e la tutela della stessa. I biodistetti potrebbero metterli a disposizione dell’area protetta in cui sono inseriti e quest’ultima potrebbe utilizzarli per monitorare la situazione e pianificare attività di gestione in modo più consapevole.
In relazione al punto 9, infine, ritengo che vada effettuata una attività di promozione e di formazione periodica sull’agricoltura biologica, sulla sostenibilità, sul concetto di distretto (e di biodistretto) e di resilienza di un territorio… Sia nelle scuole che nelle università. Ad esempio, presso la Link Campus University di Roma si sta discutendo la possibilità di attivare un Corso di Studio in “Economia e Gestione della Filiera Alimentare”, all’interno del quale le precedenti tematiche troverebbero una naturale collocazione.
Spero che le precedenti riflessioni possano apportare un contributo, seppur minimo, allo sviluppo dei biodistretti. Ovviamente sono a disposizione per la discussione critica delle stesse e per la loro implementazione prospettica.
Un caro saluto,
Nadia Cipullo